Lini, il Lambrusco e quello che non ti aspetti proprio
Scrivo queste righe reduce da una bellissima degustazione che mi ha veramente colpito, quindi mi perdonerete alcune esternazioni un po’ filosofico/riflessive prima di entrare nel vivo…
Primo: il vino è piacere. Non lo dimenticate mai. A volte questo piacere può essere inteso come immediata accessibilità, e ci sta, specialmente nell’ottica del grande pubblico; altre volte, invece, può diventare complessità, articolazione, ovviamente nel caso degli appassionati.
Secondo: l’Italia vinicola è veramente strana. Ha storia e potenzialità inimmaginabili, ma spesso e volentieri si fa male da sola, creando miti improbabili figli delle mode, oppure distruggendo a priori alcuni vini solo perché presunti critici (!) li hanno bollati come indecenti.
Un’altra cosa: la Francia va usata come stimolo, come ispirazione, non va inseguita, altrimenti la partita è persa in partenza.
E questo deve averlo pensato a suo tempo Fabio Lini, enologo, appassionato di champagne e produttore di vini in quel di Correggio. Lambrusco soprattutto. Ebbene sì, oggi parlerò proprio di questo vino emiliano, anche a costo di prendermi quelle critiche che più o meno velatamente mi sono state mosse dopo i primi articoli di Vania proprio sul Lambrusco: “ma come, in un sito di champagne metti il Lambrusco? Ma che figura ci fai?”. Non perdo tempo a commentare queste critiche, invece vi chiedo: prima leggete, poi, semmai, giudicate. Allez!
Fu proprio Vania a scrivere di Lini, cantina della sua Correggio, poco più di due anni fa su questo sito ed è stata sempre Vania a organizzarmi al volo una visita durante un mio touch’n’go nella cittadina emiliana: “visto che hai la mattinata libera, Alicia Lini avrebbe piacere a farti fare un giro in cantina…”. Perché no? Sono uno champagnista, mica un ottuso talebano! Anzi, la curiosità e la voglia di imparare non mi vengono mai meno, fortunatamente, e poi… prima assaggiare, poi parlare!
Credo proprio che ci sarà tempo e modo di riparlare della Lini, intanto vi dico che ho trovato persone umili e appassionate, che sanno il fatto loro e che, come molte cantine italiane di valore, ricadono nel ‘nemo propheta in patria’, nel senso che sono molto apprezzate all’estero, ma molto meno in Italia, per non dire addirittura snobbate. Per carità, non voglio dire di aver scoperto la DRC italiana, ma, molto più semplicemente, una piccola realtà che lavora bene e in silenzio nel rispetto della tradizione, ma con alcuni ‘sconfinamenti’ interessanti. La gamma è ampia e, ovviamente, indirizzata a diverse tipologie di pubblico, alcuni vini sono buoni, altri un po’ meno, ma… Sì, c’è un ma: il loro Lambrusco che definirei classico (Gran Cuvée de Lambrusco) è molto buono nel suo essere un ottimo prototipo di questo vino, mentre il loro Lambrusco di punta (Metodo Classico Rosso) è semplicemente eccezionale! Entrambi sono rifermentati in bottiglia, ma se il primo è un sans année pensato secondo lo schema dell’assemblaggio di annate, il secondo è un millesimato puro. E con quest’ultimo dimenticate il concetto di Lambrusco degli anni ‘80 e dimenticate pure quel Lambrusco che, grazie ad alcune realtà senza dubbio valide, è tornato prepotentemente alla ribalta una decina di anni fa. No, qui siamo su un altro pianeta, siamo di fronte a un’idea di Lambrusco che vorrebbe ergersi a baluardo della tradizione, ma finisce poi per rendere questo vino un grande vino, anche grazie alla ‘follia’ di Fabio Lini di interpretarlo come Metodo Classico e tenerlo una decina d’anni sui lieviti! Sì, avete letto bene, Lambrusco rifermentato in bottiglia e poi dimenticato in cantina neanche fosse un grande champagne e, alla fine, ‘remuato’ a mano sulle pupitre… Il risultato? Incredibile.
Non mi credete? Ci può stare, però leggete la scheda e poi cercate di assaggiare questo vino (anche perché il costo è tutt’altro che elevato), poi ne riparliamo…
Metodo Classico Rosso 2005
Se vi aspettate il classico Lambrusco il naso vi spiazzerà immediatamente, ma in positivo, facendovi alzare il sopracciglio ed esclamare “ah, però!”. È fresco e vibrante, con una vivace florealità e una nota agrumata in evidenza, quindi speziato, ancora rinfrescante per note tra le erbe officinali, le radici, il sottobosco e, solo alla fine, ecco il frutto, piccolo e di bosco, più asprigno che dolce. Solo con l’attesa il naso si fa più scuro e vinoso, ma sempre elegante e fresco, con una eco tostata e una nota carnosa. Sarà, ma richiama quasi il Pinot Noir come vino… L’assaggio continua su questa falsariga spiazzante, sempre in positivo: fresco e setoso (il non fare la malolattica trovo sia una scelta vincente: bravo Fabio Lini!), più imperniato sulle radici (rabarbaro) e sulla china che, però, sembrano fare da apripista all’anima vinosa, sempre ben sostenuta dall’acidità e da una profonda complessità. E che dire della bollicina carezzevole, dello sviluppo succoso e gustoso, del finale pulito e pulente, con una scia delicatamente sapida e agrumata? Niente, se non che è un bellissimo vino abilmente spumantizzato che trovo buono, buonissimo, quasi irresistibile. Un vino di piacere, insomma. L’ho detto, dimenticate il Lambrusco e riscoprite ‘il’ Lambrusco, perché pare fosse questo alle origini…
Voto: 92/100
Questo gran bel vino è stato premiato da tempo da Wine Spectator (l’ho detto: ‘nemo propheta in patria’…) e, personalmente, mi dispiace che abbiano dovuto celebrarlo gli americani e non noi italiani. La stampa nostrana di settore (oggi in profonda crisi, al punto da rischiare l’estinzione) in passato ha creato miti (veri e falsi), ma con alcuni vini ha mancato di coraggio, salvo rarissime eccezioni. Con il Lambusco, ad esempio, forse perché alcuni presunti (e presuntuosi) depositari della verità assoluta in campo vinicolo lo vedono un po’ come il cugino di campagna che i parenti di città fanno finta di non conoscere perché se ne vergognano. Vania ben conosceva questa realtà, invece, ne ha scritto e devo ringraziarla perché mi ha fatto superare le mie iniziali perplessità (ho detto perplessità, non bocciatura a priori) portandomi a toccare in prima persona questi vini. Alla fin fine ho scoperto che questo Metodo Classico Rosso è prodotto pure in magnum: chissà se vale la stessa ‘regola’ dello champagne… Mi toccherà scoprirlo presto, magari con la cucina di Marco Dallabona (Stella d’Oro a Soragna). Vania e Alicia siete avvisate!
Grazie…mi avete colmato una lacuna..approfittato x un test alla Stella d’Oro
🙂
Buongiorno Sig. Lupetti e complimenti per il lavoro che svolge seriamente coi i suoi collaboratori. Gente seria indubbiamente anche i Lini e vorrei chiederle come ha trovato i metodo classico da uve Pinot Nero lei e la Sig. Valentini per cortesia? Vi ringrazio
Grazie!
Quello di Lini è un argomento che voglio approfondire, quindi ci sarà tempo e modo per parlarne, anzi riparlarne, visto che Vania fece già un articolo.
Nel corso della mia veloce visita ho anche assaggiato i Metodo Classico da Pinot Noir e, come ho detto ad Alicia e a suo padre, sono quelli che mi convincono meno, ancorché siano tecnicamente molto ben fatti. Però pare piacciano molto al grande pubblico, quindi…
A me, ventenne e inesperto perchè con pochi assaggi sulle spalle, ma emiliano, è piaciuto: mi piace l’idea di lasciare un vino, famoso in gioventù per il frutto, la freschezza e l’acidità, per così tanto tempo sui lieviti.
Mi ha incuriosito il risultato, è un esercizio di stile molto riuscito.
Dall’altra parte mi scontro(e però capisco) con la “vecchia mentalità” che vede in questa sosta prolungatissima una prova. Una sosta che non aggiunge al vino(lambrusco anche MC), ma piuttosto toglie(stesso giudizio sul 2009 di Della Volta).
A mio parere non son profeti in patria perchè mancano di un vigneto di proprietà e han stravolto il concetto originario, la filosofia che stava dietro ad alcuni vini dell’azienda.
Qualcuno forse ricorderà il metodo champenoise “Grand Prix”, fatto dalla generazione precedente , quando ancora c’era Lando(amico di G.Tachis); lo stesso che diede vita al marchio(e al vino) Labrusca assieme ad alcuni amici e,
verso la fine degli anni ’70, alla “festa della Labrusca” per la quale Lini è diventato profeta in patria e ricordato ancora(almeno in Emilia).
Non so quanto c’entri questa testimonianza, ma la damnatio memoriae dei racconti del loro passato, fa dire oggi che non siano profeti in patria, che Lando Lini(la persona che li dentro cominciò a fare metodo champenoise, che assieme ai suoi figli andava in Champagne a raccogliere le ire dei produttori dicendo che produceva “champenoise rosso”, l’unico che ebbe l’intuizione di acquistare le autoclavi in acciaio, quando i primi in Italia erano Berlucchi e la Cinzano) non sia mai esistito e che Oreste, il fondatore assieme ai figli, non fosse oltre che un imprenditore, un contadino.
Detto questo, viva Lini e il Lambrusco nelle sue più diverse sfaccettature! É comunque anche grazie a questa generazione se l’azienda sopravvive e ha ottenuto una buona visibilità internazionale.
In bocca al lupo!
Analisi molto interessante e ottimo contributo alla discussione, grazie.
Purtroppo conosco poco il mondo del Lambrusco, ma qualche assaggio suggerito da Vania o da Marco della Stella d’Oro mi ha piacevolmente colpito. Colpito, quando invece questo Lini millesimato mi ha lasciato veramente a bocca aperta. Forse è poco Lambrusco, almeno nel rispetto dei suoi canoni universali, ma è un grande vino!
Posso dubitare?
Sinceramente: mi pare che lei sia stato colpito in particolare da Vania… publiredazionale? o redazionale? scusi se mi permetto… vivo -origini- tra Modena Reggio Emilia e Bologna…La storia raccontata Lini 910 8 sembra una suite) è una bella favola. Pure il prodotto. Punto. Ci sono almeno 7 produttori blasonati migliori in zona che Lei non ha recensito. Perchè? Giusto domandarselo. Non crede? Cortesemente, mi rispomde? saluti.
Quando critiche e perplessità sono esposte con garbo e in maniera costruttiva sono certamente benvenute.
Però non accetto l’insinuazione di pubbliredazionale. No. Non si tratta di questo e chi afferma il contrario sta dicendo una sciocchezza di cui si assume tutta la responsabilità. I pubbliredazionali vanno chiaramente indicati, nel rispetto del lettore e della deontologia. Lo sa?
Ciò doverosamente premesso, cerco di raccontarle brevemente la mia esperienza. Quando sono nella bella Emilia mi piace sempre provare un buon Lambrusco. Non conoscendoli, chiedo consigli a Marco della Stella d’Oro, a Vania, a Thomas Rossi. Finora ne ho bevuto moltissimi di piacevoli, alcuni pure grandi, pochi deludenti. Ma mi ci sono sempre confrontato per il piacere di bere, non da critico. Un giorno ho anche visitato Lini, dato che mi trovavo a Correggio. Il tempo era poco, quindi dopo la visita il tempo per assaggiare poco. Un Lambrusco discreto, uno buono e… quando siamo passati a questo millesimo Metodo Classico, beh, wow! L’ho riprovato a casa dopo una settimane e ho avuto le stesse sensazioni, mi sono confrontato con alcuni amici che conoscevano questo vino e idem. Che dirle? Certamente ci saranno dei Lambrusco di altissimo livello, forse anche più ‘tradizionali’, ma questo dell’articolo è a mio avviso notevole. Ora, da grande conoscitore di Lambrusco, mi dica lei…
E sentiamo pure cosa può aggiungere Vania, che non mi ha assolutamente fuorviato. Ci confrontiamo costantemente con la massima onestà e non siamo sempre d’accordo, ma nessuno ha mai condizionato l’altro, mi creda…
Chiedo scusa, leggo solo ora. Alberto ha già chiarito la mia posizione nella vicenda, mi sento solo di aggiungere che si, i Lambruschi sono tanti ma questo ha colpito non solo me ma anche tanti altri giornalisti e appassionati che ne hanno scritto e parlato. Come l’Osservatorio del Lambrusco, per esempio, veri professionisti e ai quali non sfugge un lambrusco in circolazione, che ha deciso di premiarli per il “coraggio” nell’azzardare ua permanenza così lunga sui lieviti con un uva cosi (apparentemente?) semplice e di poca longevità come il Salamino.
Un giorno che Alberto si trovava a Correggio da solo e con una mattina da dedicare a una visita, ha approfittato ed è andato ad assaggiarlo.
Spesso, è tutto molto più semplice di quel che appare.
Buona giornata.
Poi, se posso aggiungermi, sfido chiunque a trovare un “reggiano” metodo champenoise con un naso e bocca migliore della gran cuvée di lambrusco o qualcuno che tiene in cantina lamrbsuco di 12-15 anni…
Sono però curioso di sapere chi sono gli altri 7 illustri esclusi… (il sorbara, quello del secchia però, è un’altra cosa)
e si… probabilmente l’uva salamino è anche la più nobile… tanto delicata quanto la cugina più famosa pinot nero… lo dimostra anche quest anno il ritardo nella ripresa vegetativa del salamino rispetto alle altre varietà (sorbara chi??). Questo nell’uva è indice, a mio parere, di maggior complessità.
Attendiamo i 7, o più…
Grazie Oreste, peraltro ho saputo proprio oggi che l’ultima annata in commercio, la 2006, ha una permanenza sui lieviti di ben 12 anni. Un lambrusco autorevole, elegante, che consiglio con i migliori piatti di selvaggina. Sarà il tempo di questi giorni ma mi è venuta davvero voglia di riassaggiarlo.
Un caro saluto, Vania