Abbinamento fenomenale: Strolghino e champagne Alain Réaut
Champagne e salumi è uno degli abbinamenti meglio riusciti, per non dire addirittura goduriosi. Salumi di qualità, ovviamente, e soprattutto alcuni: la Mortadella (possibilmente qual capolavoro della Favola dei Fratelli Palmieri: ne parleremo presto…) e, ancor più, il Culatello e suoi parenti, quindi tutte le altre prelibatezze che ci regala sua maestà il Maiale (sì, merita lettera maiuscola e titolo regale!) nella Bassa Parmense.
Li vedremo man mano, ma l’onore di iniziare questa carrellata di accostamenti spetta allo Strolghino, salametto (pesa in media 300 g) fresco che ritengo “una delle prove dell’esistenza di Dio”, senza essere tacciato di blasfemia. Fino a un paio di anni fa, era quasi impossibile trovare lo Strolghino fuori dall’Emilia, ma poi ha iniziato a fare la sua comparsa anche in alcune salumerie e addirittura nelle grandi distribuzioni.
Purtroppo, però, nel 90% dei casi non si tratta di Strolghino, bensì di un salame spacciato per tale. Questo perché la produzione dello Strolghino e il suo nome non sono regolamentati (e protetti) da un disciplinare, come mi faceva notare con tristezza Luciano Spigaroli qualche tempo fa, quindi chiunque può produrre salami e venderli come Strolghino, invece quello autentico è prodotto solo nella Bassa Parmense da chi produce il Culatello di Zibello. Inoltre, lo Strolghino, che andrebbe correttamente chiamato “Strolghino di Culatello”, è un salume fresco non solo privo di conservanti, ma anche da non stagionare, per questo la sua vita è inferiore ai due mesi. La sua produzione, poi, corre parallela a quella del Culatello, anche se di questo termina a febbraio, mentre per lo Strolghino arriva fino ai primi di aprile.
La mia golosità per questo salame e la mia passione per le specialità della Bassa Parmense mi hanno portato ad assaggiarne ripetutamente di diversi e ad approfondire il tema tanto con gli stessi produttori quanto con quell’intenditore irraggiungibile di Marco Dallabona del ristorante Stella d’Oro in quel di Soragna e, alla fin fine, ritengo che sul gradino più alto del podio ci vada, anche se di stretta misura, lo Strolghino di Squisito, piccola realtà in quel di Diolo di Soragna creata da poco più di due anni da Angelo Capasso, di cui mi occuperò nel dettaglio prossimamente e che squisita lo è non solo di nome ma anche di fatto. Per carità, lo Strolghino di Spigaroli è eccellente, quello dell’Antica Ardenga molto “fresco e carnoso”, quello – meno noto – di Anselmo Bocchi addirittura unico, ma lo Strolghino di Angelo è per consistenza, dolcezza, rapporto magro/grasso e gusto a mio avviso imbattibile.
Come vuole la tradizione, Angelo lo produce dalle rifilature del Culatello (di Zibello o Verdiano che sia, quindi privo della DOP ma ugualmente buono e prodotto fino ai margini della primavera) condite con ingredienti rigorosamente naturali come vino (Malvasia secca), pepe in grani, sale e aglio schiacciato. L’uso dell’aglio da parte di Angelo è molto oculato, come vedremo anche in futuro con un altro salume eccezionale, la Mariola: lo tiene a bagno nel vino e poi lo elimina, quindi non lo macina nell’impasto. Risultato: dà quel tocco, ma non rende il salume agliato. Segue l’insaccatura in un tipo di budello naturale detto “dudellina” e poi stagionato per una decina di giorni o poco più, i primi in cella, i successivi nella cantina dei Culatelli. Almeno, così lo fa Angelo, che rivela: “qui nella Bassa si dice che lo Strolghino sia la ‘cavia’ per capire come sarà a fine stagionatura il Culatello. Quindi se lo Strolghino è eccellente lo sarà anche il Culatello. Para sia nato proprio così una cinquantina di anni fa…”. E ancora: “le caratterisiche dello Strolghino devono essere la morbidezza e la dolcezza”, quindi se al tatto è duro e al gusto è molto speziato o salato, beh non è Strolghino. Tra l’altro, lo Strolghino non può essere duro (quindi stagionato a lungo) perché il tipo di budello in cui è insaccato (parlo dello Strolghino “originale”, ovviamente) alla lunga si bucherebbe. Per questo, la vita media di uno Strolghino è di una quarantina di giorni.
Sull’origine del nome, poi, i pareri sono diversi. Per Marco Dallabona deriva dalla parola dialettale usata per indicare un ragazzino, da qui lo Strolghino che sarebbe il bambino molto giovane del Culatello. Un’altra teoria, invece, vuole sempre la parola dialettale “strolgata”, ma riferita a un’idea geniale. In tutti i casi, questo salametto era prodotto dai mezzadri quando preparavano i Culatelli per il proprietario: tenevano per loro i freschi e gustosi Strolghini e, parallelamente, intuivano le potenzialità dei Culatelli…
Per gustare lo Strolghino, prima di tutto va spellato (se l’operazione dovesse risultare difficoltosa va prima bagnato) e poi tagliato a fette diagonali spesse non meno di 1 cm accompagnate a pane caldo o alla tipica torta fritta (simile allo gnocco fritto bolognese). E, ovviamente, un buon bicchiere di champagne! Sì, proprio lo champagne, che affianca la tradizionale Fortana, simpatico vino frizzante locale che alcuni illuminati produttori stanno recuperando.
Champagne, dunque, ma quale? Vista la bontà del salume e dello stesso vino, c’è l’imbarazzo della scelta, ma insieme a Federico Angelini abbiamo ipotizzato tre possibilità: con un rosé d’eccezione, come può essere quello di Selosse, e con due blanc, a contrasto con il 2002 di Jacquesson (acidità dello champagne, dolcezza dello Strolghino), a tono con il Brut Tradition di Alain Réaut, piccola maison scoperta e importata da in Italia Lungo la Via Francigena.
Alain Réaut è un piccolo produttore familiare in quel di Courteron, villaggio nell’Aube non solo noto per il suo eccellente Pinot Noir, ma anche per essere la patria dell’oramai noto e celebrato Fleury. E di questo rinomato produttore, conosciuto per il suo pionierismo nella biodinamica, i Réaut sono confinanti. Anzi, questi hanno aiutato i Fluery a costruire la cantina, che hanno “contraccambiato” instradando i Réaut alla biodinamica, adottata pienamente nel 1992 e applicata agli 11 ettari di proprietà, per l’85% a Pinot Noir (più 10% a Chardonnay e 5% a Pinot Gris); l’eta media delle piante è 30 anni. La fermentazione avviene in vasche smaltate con sistema di controllo della temperatura e i vini svolgono la malolattica. La maison è certificata Ecocert e Demeter e dal 2009 risponde alla “Charte de vinification de la FNIVAB” (Fédération Nationale Interprofessionalle des Vin issus de l’Agriculture Biologique). Ovviamente, alla viticoltura i Réaut non ci sono arrivati per caso, perché Alain proviene da una famiglia di viticoltori e già all’età di vent’anni, nel 1978, a iniziato a costruire la propria maison insieme alla moglie Thérèse.
Questo Brut Tradition è un blanc de noirs da solo Pinot Noir, per il 60% della vendemmia 2008 e per la restante parte della 2007. I vini sono stati imbottigliati a maggio 2009 e il dégorgement effettuato a ottobre 2010 (per un totale di 18 mesi sui lieviti, quindi solo tre mesi in più del minimo imposto dal disciplinare) e dosato a 8,6 g/l. È prodotto in 15.000 bottiglie annue.
Ebbene, propone un bel naso intenso di frutto maturo, fitto e profondo, arricchito da una finissima speziatura dolce e spunti di pan di zucchero, sempre composti. È, quindi, davvero invitante, ma è all’assaggio che questo champagne rivela tutta la sua piacevolezza: ritorna il frutto maturo, ma vivacizzato dalle tipiche note acidule del Pinot Noir, da un’acidità agrumata (mandarino) e una sorprendente vena minerale che dona una gustosa sapidità in chiusura.
Proprio una bella sorpresa, anzi una doppia sorpresa. In primo luogo perché nell’affollato panorama dei vigneron non è facile trovare champagne di rilievo oltre i soliti nomi; in secondo luogo perché si tratta di un vino biodinamico ma veramente buono, quindi lontano da quelle storture che certi “talebani” dei vini naturali pretendo di far passare per ottimi solo perché bio, anche se in realtà sono palesemente imbevibili. Non è questa la sede per intraprendere questo discorso, ma ci ritornerò su presto: bisogna avere il coraggio di dire come stanno effettivamente le cose e smettere di prendere in giro la gente con biologico, biodinamico e naturale a tutti i costi. Eccezioni a parte, ovviamente, ma sono poche…
Voto: 89/100
Per gli champagne Alain Réaut contattare Valentina Vignali al 349/2584656 oppure info@lungolaviafrancigena.it
Gli champagne Jacquesson 2002 e Jacques Selosse Rosé sono stati recensiti nella guida Grandi Champagne 2012