Super anteprima: MC III, la nuova cuvée de prestige di Moët!
Nel 1936 Moët & Chandon lanciava la propria cuvée de prestige, Dom Pérignon. Per decenni le cose sono rimaste invariate e, come avviene in tutte le altre maison, lo chef de cave era un solo, visto che non si trattava di un altro brand. Però, negli anni ’90, proprio con l’arrivo di Richard Geoffroy, le cose sono iniziate a cambiare e Dom Pérignon è prima diventata una sorta di marca nella marca e successivamente un brand a sé. Tanto che è sparita in etichetta la dicitura “Moët & Chandon – Epernay” e la sede è diventata l’Abbazia di Hautvillers, quindi non più lo storico complesso di Avenue de Champagne a Epernay. Oltre a esserci stata anche una separazione a livello di chef de cave: dopo Dominique Foulon, Moët ha avuto il proprio e Dom Pérignon il suo (Richard).
Nel frattempo, come chef de cave di Moët, nel 2005 è arrivato Benoît Gouez, il cui talento conosciamo oramai molto bene. Ebbene, Benoît si è reso ben presto conto della mancanza nella gamma del colosso di Epernay di una top cuvée e così ha iniziato a pensare a come supplire a questa mancanza. E parlando proprio con Richard Geoffroy, ha deciso di dare continuità a un progetto ambizioso che proprio il geniale chef de cave di Dom Pérignon aveva iniziato a concepire negli anni ’90 insieme a Dominique Foulon. Il progetto di un ‘super champagne’ che, a quel punto, sarebbe tornato utile, anzi sarebbe stato perfetto per essere la nuova punta di diamante di Moët & Chandon. Ecco, allora, pensare a uno champagne inedito, mai fatto prima, innovativo, rivoluzionario, sofisticato. Uno champagne che si propone di andare addirittura oltre l’Esprit du Siècle, lo champagne proposto per festeggiare l’arrivo degli anni Duemila e tirato esclusivamente in magnum. Rarissimo, era un assemblaggio pazzesco di ben 11 annate con la più vecchia targata addirittura 1900!
Ma, come detto, con il nuovo Moët il buon Benoît, con il supporto di Richard Geoffroy, è voluto andare oltre: assemblaggio di annate, sì, ma annate dalla natura molto particolare, alcune figlie delle cuve (acciaio), altre delle botti (legno), altre ancora della bottiglia (vetro). Già, perché il nuovo champagne è stato pensato come un assemblaggio stratificato:
- I strato: il frutto. Base di vins clairs dell’annata 2003 in perfetto equilibrio tra Pinot Noir e Chardonnay per la ricchezza e la struttura. Nel complesso, questi vini hanno pesato nell’assemblaggio per il 37,5%.
- II strato: la texture. Ovvero la cremosità, apportata da tre assemblaggi di Grand Vintage, sempre a livello di vini fermi, accuratamente scelti e fatti maturare in botte per circa 6 mesi. Nello specifico sono stati scelti gli assemblaggi delle annate 2002 per la ricchezza, 2000 per la freschezza e 1998 per l’eleganza. Anche questo secondo strato ha pesato per il 37,5% nell’assemblaggio finale.
- III strato: la maturità e l’energia. La parte più sofisticata, per certi versi incredibile, visto che è frutto della scelta di tre particolari annate di Grand Vintage Collection, degorgiate appositamente e poi unite al resto (remis en cercle). Quali? 1999 per la ricchezza, nuovamente 1998 per l’eleganza, 1993 per la freschezza. Questa componente pesa per il 25%, ovviamente.
Quale idea sta alla base di questo assemblaggio unico? La “rigenerazione della freschezza”, al fine di dare vita allo “state of the art di Moët”, come ha fatto notare Benoît Gouez.
Avrete notato che è il numero tre a ricorrere e non è un caso. Tre rappresenta non tanto la perfezione, quanto la stabilità (tre come le gambe di uno sgabello…), a differenza di Dom Pérignon dove, invece, si ricerca sempre ricorre il due, quindi l’instabilità, ovvero la continua tensione, come vuole il ‘paradosso degli opposti’. Però, chiariamolo subito e una volta per tutte: non si tratta di un clone di DP!
A ogni modo, nel 2004 questo super assemblaggio è stato tirato in una bottiglia unica, speciale, che si rifà alla magnum dell’Esprit du Siècle, quindi, dopo dieci anni sui lieviti, lo champagne è stato finalmente degorgiato, dosato a 5 g/l, e fatto riposare nuovamente in cantina, nell’attesa del lancio nell’autunno del 2015.
Il nome? MC III, quindi Moët & Chandon III, a sottolineare questa triplice natura di acciaio, legno e vetro.
Da notare che sono stati fatti degli altri tentativi prima di arrivare alla definizione dell’MC III attuale, un primo base 1998 e un secondo base 2000, per poi giungere finalmente a questo base 2003, a ulteriore dimostrazione di come lo chef de cave cercasse veramente l’equilibrio perfetto tra maturità, ricchezza e struttura.
Bene, a questo punto vorrete giustamente sapere com’è questo MC III, questo ‘super Moët’… L’ho assaggiato poco meno di un mese fa nel corso di una presentazione in anteprima alla presenza dello stesso Benoît Gouez e posso dire che è uno champagne incredibilmente fresco ed elegante, tremendamente espressivo dello stile Moët, pervaso da un’energia quasi infinita. Soprattutto, è uno champagne complesso ma molto, molto piacevole. Lo chef de cave parla di “vino del paradosso in quanto rivela il frutto in un secondo momento”. Incredibile. Gli ho dato 96/100…
Ma è solo un primo assaggio: conto di riassaggiarlo con maggiore calma a settembre a Epernay e proporlo poi dettagliatamente nella nuova edizione (2016-17) della guida Grandi Champagne. Ci vuole…
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