Cosa si cela dietro il Carte Jaune?
Ritorno sull’argomento del brut sans année di Veuve Clicquot, il celebre Carte Jaune o Yellow Label che dir si voglia, di cui ho approfondito recentemente in una sorta di verticale Veuve Clicquot. Ebbene, ci ritorno su perché lunedi scorso, in occasione del Corso Champagne che sto tenendo presso l’Enoteca al Parlamento di Roma, la seconda lezione è stata dedicata alla nascita di uno champagne, con approfondimento proprio sullo sviluppo di un non millesimato. Così, ho pensato di fare un percorso a ritroso e partire dall’assaggio dello champagne finito per passare alla prova di assemblaggio e terminare con alcuni vins clairs che poi questo assemblaggio vanno a comporre. In nessun corso sul vino o specifico sullo champagne, men che meno in una degustazione senza la presenza dello chef de cave o del suo braccio destro, sono mai stati proposti vins clairs originali champenoise e per questo profondo attestato di stima non ringrazierò mai abbastanza Dominique Demarville e Cyril Brun. Già, perché i vins clairs arrivavano direttamente da Veuve Clicquot…
Per la precisione, durante la lezione, siamo partiti degustando il “nuovo” Carte Jaune, quello che entrerà in commercio dopo l’estate e che è basato sull’annata 2009. Uno champagne di cui già dice un gran bene chi ha avuto la fortuna di assaggiarlo e che da parte mia ritengo un po’ il punto di svolta della maison di Reims per quanto riguarda questa etichetta: è il primo con Dominique pienamente responsabile della produzione e il suo fine lavoro di cesello si avverte nettamente. Ha guadagnato in eleganza, freschezza, croccantezza, insomma si beve con grande piacere. Vabbè, diciamolo senza mezzi termini: il Carte Jaune è migliorato. Parecchio. Ma per i dettagli rimando alla seconda edizione della guida Grandi Champagne…
A seguire è stata la volta della prova di assemblaggio del Carte Jaune, quindi del medesimo champagne, ma in versione “vino fermo”. Ovviamente, era impossibile avere la stessa base 2009, quindi abbiamo assaggiato la 2012, cioè lo Yellow Label che vedremo esattamente tra tre anni. Il parallelo potrebbe sembrare poco consono, invece porta ancor più all’essenza del concetto di brut sans année: confrontando due annate diverse, una come champagne e una come assemblaggio fermo, deve comunque emergere la massima coerenza stilistica tra i due, ovvero l’obiettivo anno dopo anno dello chef de cave di mantenere sempre quel gusto a prescindere dalla vendemmia e dal tempo. Ebbene, ho notato con piacere come i partecipanti, pur essendo l’assaggio di un assemblage una cosa da tecnici, abbiano nettamente percepito questa coerenza.
Per la cronaca, il Carte Jaune base 2012 sarà così composto: 52,5% Pinot Noir, 27,5% Chardonnay, 20% Pinot Meunier, con ben il 55% di vins de réserve delle annate 2010, 2009, 2008, 2007, 2006 e 1995; l’impiego di taille è sceso all’11%. Un rapido commento: la 2012 è stata un’annata eccellente, ma di ridotta quantità, causa la gelata. Ma non solo. Ha dato vini molto caratterizzati, ottimi per un millesimato, meno per un brut sans année. Da qui il coraggio – e la bravura – di Dominique di ricorrere a una quantità di vins clairs superiore alla stessa vendemmia base (una cosa del genere in una Grande Marque è successa solo un’altra volta: nel 1986 da Krug, quando Henri assemblava la Grande Cuvée e si trovava alle prese con i vini della eccellente vendemmia del 1985…) e di scendere in profondità fino al 1995. Chapeau! Tra tre anni avremo un Carte Jaune da applauso, fidatevi!
Dall’assemblaggio, poi, siamo andati indietro di un altro step, quindi abbiamo assaggiato i vins clairs veri e propri. Ho iniziato proponendo due Pinot Noir del 2012, quello vinoso di Bouzy, intensamente aromatico ed espressivo dei frutti rossi, e quello fresco di Verzy, delicatamente aromatico e molto lungo in bocca. Poi ancora un Pinot Noir, ma stavolta di Verzenay e del 1998, pertanto un vin de réserve: caspita che vino, floreale, teso, vivace, in straordinaria forma, al punto da farsi addirittura bere con piacere! Poi ecco un classico Pinot Meunier 2012 della Vallée de la Marne, pieno di frutto e morbido, con un bel sostegno acido a dare freschezza: nel Carte Jaune questa varietà gioca un ruolo importante ed è utilizzata nove volte su dieci non solo per motivi di tradizione, ma anche e soprattutto per il suo carattere morbido. Chiusura con il prezioso Chardonnay, sempre 2012, di Cramant, ricco, fresco, fine, di equilibrato sostegno acido e anima minerale a ricordare proprio la craie.
Trattandosi, come detto, di una degustazione tecnica fatta a semplici appassionati, avevo paura che la cosa potesse apparire ostica o – peggio – fastidiosa, invece ho notato una partecipazione via via sempre più viva e intensa, così al termine i partecipanti non solo sono rimasti soddisfattissimi, ma mi hanno anche confessato di essere riusciti finalmente a capire lo champagne. Che, poi, era esattamente l’obiettivo che mi ero prefissato. D’altronde, è solo con questi assaggi che si riesce ad apprezzare tutta la grandezza del terroir di Chamapagne: ogni vino è tremendamente espressivo e, anche a parità di cépage, la differenza tra villaggio e villaggio è abissale, per non parlare di quella tra vendemmia e vendemmia.
Lunedi prossimo sarà la volta delle diverse tecniche di vinificazione e dei millesimati, ma questa… è un’altra storia.
Chiudo tornando su Veuve Clicquot e sul Carte Jaune. Questo champagne rappresenta la prima preoccupazione dello chef de cave e sarà per questo che la maison di Reims trasforma in ogni vendemmia ben il 60% dei vini in vins de réserve, che sono poi mantenuti sulle fecce in tini termocondizionati a 10°C, separati per varietà, villaggio e annata, vecchi anche fino a 20 anni. Il nemico più grande è l’ossidazione e, anzi, si punta a preservare la purezza di gusto e gli aromi. Ognuno di questi vini viene curato in fase di vendemmia e di vinificazione per raggiungere gli 11° alcolici e ottenere un equilibrio perfetto prima tra acidità, zucchero e lo stesso alcol, quindi tra freschezza ed eleganza. Solo in questo modo, combinandoli successivamente, si potrà dar vita a un grande champagne.
Moet-Hennessy Italia – tel. 02/671411 – www.moethennessy.it
Un vero peccato non poter partecipare – sono a Milano – a queste lezioni!!
Si, perchè pur avendo alle spalle qualche corso sul vino, lo champagne ha una sua peculiarità e anche una complessità che lo rendono unico.
E anche perchè leggere non è sufficiente, il confronto dal vivo, con tanto di assaggi, è tutt’altra cosa per una materia non del tutto semplice….
Un tarlo mi perseguita: i vins de rèserve che risalgono a 15/20 anni o anche più come possono essere esenti da ossidazione? (Giacchè la nota ossidativa è la mia ossessione, nel vino come nello champagne).
PS) Se in futuro dovesse tenere dei corsi nella mia città, me lo faccia cortesemente sapere, non mancherei di certo.
In effetti, con questa prima esperienza sono necessariamente dovuto partire dalqla mia città, ma chissà in futuro…
Per i vins clairs, solo i migliori, delle grandi annate, vengono tenuti così a lungo, in acciaio come fanno i più o in botte come fa Roederer, a una temperatura di 10 gradi. E sì, in queste condizioni, complice anche l’elevata acidità, durano moltissimo: ho ricordi di un Mesnil 1990 da Krug assolutamente incredibile…
Buonasera Alberto,
una curiosità: c’è una differenza tra il Carte Jaune che in etichetta riporta sotto la scritta Veuve Cliquot la sola dicitura BRUT e le bottiglie etichettate come Cuvée Saint-Pétersburg?
È solo una questione di habillage?
Grazie,
Paolo
La domanda più ricorrente nel mondo dello champagne… Stesso vino, cambia un po’ la composizione della liqueur.