Champagne Dom Ruinart Rosé: un grande matrimonio tra Chardonnay e Pinot Noir
Ruinart è da sempre molto legata allo Chardonnay, tanto da impiegarlo in maniera preponderante nell’assemblage di tutte le cuvée e proporre addirittura due blanc de blancs in gamma, il celebre brut sans année omonimo e l’eccellente cuvée de prestige Dom Ruinart. Non a caso, lo Chardonnay contribuisce in maniera determinante alla definizione di quello che è diventato celebre come il “gôut Ruinart”. Le uve provengono esclusivamente dalla Côte des Blancs e dalla Montagne de Reims, da Cru e parcelle sempre vinificati separatamente per dare la possibilità allo chef de cave di selezionare i migliori vins clairs per ogni cuvée.
La maison possiede 15 ettari a Sillery e Brimont, che coprono solo il 20% del fabbisogno, mentre il restante 80% è acquistato da vigneron con i quali negli anni si è costruito un rapporto di stretta collaborazione. Il regista di tutti gli champagne Ruinart, ma anche il custode e il garante dello stile e della qualità della maison, è lo chef de cave Frédéric Panaïotis, tra i più brillanti e talentuosi enologi della Champagne tutta. Di Ruinart sottolinea l’importanza dello stile della maison, fatto di finezza ed eleganza, nella cui definizione è fondamentale il ruolo dello Chardonnay, vitigno che, se ben interpretato, dona densità e volume, altri tratti distintivi di Ruinart. E sottolinea come sia molto importante usare Chardonnay non solo della zona d’elezione per eccellenza, ma anche della Montagne de Reims, caratterizzato da intensità e pienezza.
E il rosé? Panaïotis ritiene che non sia solo un fenomeno figlio delle mode, ma anche una sorta di ritorno alle origini, ai “vins gris” di Champagne. Oggi i rosé sono nettamente migliori rispetto a qualche anno fa perché è migliorata la tecnica di vinificazione in rosso grazie ai maggiori investimenti in vigna e in cantina, che però poi incidono sul maggiore costo dell’etichetta rispetto all’omologa blanc. Naturalmente, in casa Ruinart, oltre al rosé non millesimato ce n’è anche uno vintage, anzi de prestige, visto che si tratta della declinazione in rosa del Dom Ruinart.
Il Dom Ruinart Rosé nacque 1962 nel pieno rispetto dell’identità del Dom Ruinart semplicemente aggiungendo del vino rosso all’assemblaggio del bianco, prima di oltre 10 anni di maturazione nelle crayères. Il vino rosso è frutto del Pinot Noir dei villaggi Grand Cru del nord della Montagne, quasi sempre Verzy e Verzenay, ma non Bouzy, come accade invece per la stragrande maggioranza dei rosé di Champagne. A onor del vero, la base blanc fatta di solo Chardonnay non è proprio la medesima del Dom Ruinart, ma vede la presenza di uve anche di Puilsieux, villaggio della Montagne de Reims sconosciuto ai più ma classificato 100% Grand Cru.
Andiamo a conoscerlo da vicino attraverso alcune vecchie annate che ho avuto la fortuna di assaggiare insieme a Panaïotis, ricordando che il 1996 è stato recensito nella prima edizione della guida Grandi Champagne, dove c’è anche una bella intervista allo stesso Panaïotis, mentre il 1998 sarà protagonista della seconda edizione.
Dom Ruinart Rosé
18% Pinot Noir in rosso, 82% Chardonnay
1990
Bottiglia: approccio olfattivo segnato da intense note di tartufo che fanno pensare a un vino molto più vecchio, tanto che anche l’assaggio, ancorché vivace, mostra un chiaro gusto evoluto.
S.V.
Magnum: bellissimo naso che sa fondere la vinosità del Pinot alle grassezze dello Chardonnay, su un fondo che si fa man mano più dolce partendo da note di caramella per arrivare fino al Sauternes. Bocca piena, quasi materica, con la componente vinosa rossa, quindi il frutto, che sembra più incapsulata che fusa alla tensione dello Chardonnay.
Finisce per essere uno champagne voluttuoso più che elegante, per questo non manca di immediata e gustosa piacevolezza.
Voto: 89/100
1988
Bottiglia: olfatto inizialmente segnato da note fungine che, però, sono solo il primo strato di una profondità che porta prima al sottobosco, poi alle erbe aromatiche, infine al frutto giustamente maturo. E proprio questa maturità fa pensare ancora una volta a un vino più vecchio, anche se si avverte nettamente una stoffa di prim’ordine.
Il palato, invece, è fresco e snello, con un frutto che ricorda il melograno. Non è molto profondo, ma l’importante acidità ben integrata (tipico dell’annata) lo rende piacevolissimo, proprio tutto da bere.
Voto: 90/100
Magnum: non solo più fresco e fine al naso rispetto alla versione in bottiglia, ma si propone anche carnoso nel frutto e perfino balsamico. L’assaggio è invece sovrapponibile nella grande freschezza, equilibratissima, al punto che sembra fondersi perfettamente alla matrice fruttata quasi a voler darle energia. Fino al coinvolgente allungo sapido-salino. Eccezionale.
Voto: 96/100
1986
Bottiglia: naso affascinante anche se non molto intenso, disegnato da fini dolcezze fruttate (lampone) in un contesto semplice ma di grande freschezza, tanto da non far pensare ai 27 anni compiuti.
Anche l’assaggio si ripropone piuttosto semplice, ovvero immediato, molto dritto, ancora di delicatissima fruttosità. Sembra voglia sacrificare la complessità all’accessibilità. D’altronde, l’annata è stata quella che stata, quindi in questo si dimostra molto coerente.
Voto: 88/100
1985
Bottiglia: l’olfatto ripropone la fine fruttosità del precedente, ma da un lato con maggiore finezza, dall’altro con maggiore dolcezza e carnosità, tanto da ricordare la gelatina di lampone. E questa dolcezza si fa anche candita, a sottolineare una certa maturità che, però, finisce per rendere più affascinante l’olfatto, arricchito da note animali e una soffusa freschezza.
La bocca è sempre fresca, anche snella e, anzi, la componente acida semplicemente perfetta dona dinamismo all’assaggio, slanciando il frutto fino al lungo e ancora fresco finale. È forse nel momento della massima godibilità.
Voto: 94/100
1982
Bottiglia: approccio olfattivo non molto intenso, certamente fresco, ma anche segnato da singolari spunti di idrocarburi. Basta, però, attenderlo un attimo nel bicchiere per scoprire un frutto splendido in quanto denota ancora e perfettamente gli aromi primari, richiamando chiaramente la ciliegia.
L’assaggio è ben simmetrico con l’olfatto, anzi ne rappresenta la continuità ideale, freschissimo e con l’allungo fruttato a portare vivacemente a un lungo e gustosissimo finale.
Questa annata continua a riservare belle sorprese e il Dom Ruinart Rosé è un di queste…
Voto: 95/100
1973
Accostandosi al bicchiere si rimane stupiti per la vivacità, la vitalità di questo vino, fruttato, carnoso, con una bellissima vena minerale e spunti di caffé. Non è da meno al palato, succoso, integro nel frutto, pieno: incredibile.
A voler cercare il pelo nell’uovo, posso dire che manca solo un filo di acidità (è appena morbido) perché sia perfetto, ma mentre lo pensi ecco ritrovarti in uno splendido finale nel quale il vino esprime un’incredibile e non meno gustosa pienezza di frutto. Notevole.
Voto: 97/100
Moët-Hennessy Italia – tel. 02/6714111 – www.moethennessy.it
Bellissimo documento, grazie. Per quanto mi riguarda Dom Ruinart Rosè è il paradigma dell’assemblaggio di una cuvée di questo tipo, e la clamorosa smentita del luogo comune secondo cui lo Champagne rosè non sarebbe adatto all’invecchiamento. Luogo comune del tutto infondato una volta fatto salvo il caso di quei produttori che destinano scientemente al rosè le uve peggiori. Provo invidia per il 1973, ricordo però un 1976 davvero folgorante per complessità e finezza, mi ritrovo nelle note di 1982, 1985 e (in magnum) 1988. Del 1990 ho ricordi più fortunati, come del 1986, addirittura da una 0.75 che conservava un’integrità, un’eleganza, una precisione da primo della classe, una riuscita che trascende il millesimo. E Chiara Giovoni che legge queste pagine può confermarlo, visto che c’era anche lei 🙂
Grazie a te del bel commento, Fabio!
E sì, il Dom Ruinart Rosé invecchia benissimo, addirittura meglio, anzi molto meglio, del fratello blanc da cui deriva.
Nel caso del 1990, devo dire che sono rimasto un po’ deluso… Vista l’annata, mi aspettavo grandi cose (penso a grandi Rosé 1990 come Dom Pérignon, Cristal e Comtes), invece la bottiglia era proprio out, allora lo chef da cave ha fatto aprire una magnum che era buona, sì, ma come vedi non eccezionale. Il tuo assaggio, invece, mi sembra di capire sia stato notevole…
A presto
Salve desidero avere una valutazione su un dom ruinart brut rosè 1982, grazie.
Pur essendo un eccellente rosé di un’eccellente annata, questa bottiglia non spunta valutazioni molto elevate: 300-350 euro…
Purtroppo.