Bruno Paillard al Trussardi alla Scala per raccontare l’NPU: un match affascinante
Envie de bulles – Chiara Giovoni
Non sono un produttore di champagne, anche se mi piacerebbe tanto sposarne uno per risolvere la cogente questione degli approvvigionamenti! Amenità burlone a parte, negli anni ho notato che una delle soddisfazioni, se non LA soddisfazione più grande per un produttore di vino, è poter mettere in fila i suoi “pargoletti” in ordine di annata, in degustazioni chiamate verticali. Una verticale di vino, poi, diventa ancora più particolare se si tratta di champagne, poiché le maison di pregio producono millesimati solitamente quando le vendemmie sono particolarmente favorevoli. Ma l’evento diventa ancor più straordinario se la verticale viene fatta con un millesimato cuvée de prestige, per diventare decisamente unico se lo champagne in questione è l’N.P.U. di Bruno Paillard. Nec Plus Ultra, le migliori uve dei migliori cru, in un assemblaggio 50-50 di Pinot Noir e Chardonnay creato nelle sole migliori vendemmie, parziale fermentazione in legno e con una maturazione di almeno 9 anni sui lieviti. Considerando l’eccezionalità delle condizioni legate alla produzione di questo champagne, non è cosa da poco per Bruno Paillard essere il fiero padre di ben 4 vintage N.P.U., proposti in verticale per una degustazione molto particolare a Milano, la prima che vedeva 1990, 1995, 1996 e 1999 tutte insieme.
Non è mai facile organizzare un momento di questa portata, specie se è previsto un pranzo con una degustazione accompagnata da piatti. Ci ha pensato Luigi Taglienti, giovane chef prestato al Piemonte da Savona, fresco di investitura al Ristorante Trussardi alla Scala, luminoso salotto culinario della Milano di stile. La sua formazione ai fornelli lo ha sempre portato a prediligere la commistione di mare e terra, con una predilezione per la ricerca dell’acidità nei piatti, piuttosto che di rassicuranti rotondità a volte prive di vitale energia. Certamente uno stile rischioso, considerato che le creazioni di Taglienti dovevano essere servite in abbinamento con gli champagne della Maison Paillard, celebri per essere dosati alla soglia limite dell’extra brut e per la capacità di mantenere grandissima freschezza anche dopo svariati anni. I presenti hanno assistito così alla lotta tra l’elegante intensità dello champagne e l’affilata potenza del menu, una lotta che ha però spesso visto i due contendenti abbracciarsi esausti sul ring. Ma andiamo a vedere come si è svolto il match (senza esclusione di colpi) con una piccola telecronaca…
N.P.U. 1999
Con coniglio grigio in porchetta di gamberi bianchi, insalata di mare e pinoli: lo champagne è giovane, in forze e pieno di energia, con una vinosità di fondo legata a leggere speziature e gli acuti della dorsale acida resi pieni dagli slanci di frutta croccante. Il coniglio tenta l’affondo sull’aromaticità e le note iodate, ma poi cede davanti all’espressività dello champagne.
Primo round: 1-0 per lo champagne
N.P.U. 1996
Accompagna un riso al pepe bianco di Penja con crema di cozze alla marinara: con il ‘96 si celebra l’ingresso più che di uno champagne di un fuoriclasse. Una stoffa d’eccezione con una travolgente verve di acidità tipica dell’annata a segnare il passo di uno champagne in notevole progressione di lunghezza e ampiezza di aromi, reso ancor più interessante da leggerissime note ossidative. Il piatto sulla carta sembrerebbe perfetto, se non che lo chef si produce nella ricetta usuale in menu che prevede scorza di limone a risotto ultimato. Un colpo sotto la cintura, e si rimandano i lottatori negli angoli a prendere fiato, confortati dalla squisitezza di uno straordinario pane al burro, che si rivela il vero perfetto abbinamento al calice.
N.P.U. 1995
Con musetto di Vitello allo champagne, sgombro, cetriolo, tartufo nero: lo champagne è un giovanotto bon ton con i muscoli armoniosi di chi ha già un po’ di esperienza sul ring e la stessa composta eleganza. Leggere sfumature di marzapane e buccia di limone accompagnano profondità di toffee pur senza zuccherine indulgenze. Fil rouge la grande freschezza, che torna ad asciugare paziente la componente grassa del musetto di vitello. Dalla cucina, però, finisce nel piatto del cetriolo in forma di granita, che in abbinamento all’acidità dello champagne è un colpo proibito. Il calice alza la difesa, si fa un passo indietro e si torna a combattere.
N.P.U. 1990
Con coda di rospo alla piastra, latte di cocco, cipollotto al pompelmo rosa: l’abbinamento perfetto. Uno champagne con la stessa complessità e profondità dello sguardo di un pugile che ha girato il mondo, e che con gli occhi ha visto le città dell’est e del sud. Pan di spezie, miele, frutta esotica, nocciole, leggero tabacco e le scorze degli agrumi a tessere le trame dell’armonica espressività compiuta. Il controcanto del piatto è in realtà una perfetta melodia che tende all’unisono, con il pesce in cottura sublime, il latte di cocco a dare la giusta morbidezza aromatica, il cipollotto al pompelmo rosa lievi ad abbracciare la composizione.
Il round che vorresti rivedere all’infinito: 1-1
Il dolce è una Minestra di cioccolato bianco, castagne fresche, ananas, ricci di mare, noce moscata e tartufo bianco. Un trionfo barocco e magrebino insieme, che riporta un po’ al mare e alla freschezza e chiude un incontro ricordandone la peculiarità.
L’N.P.U., per concludere. Con il passare dei minuti si scalda leggermente nel bicchiere e svela le sue 4 personalità declinate in vendemmie, in tempo e in capacità visionaria del suo creatore Bruno Paillard. Applausi.
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Chi si diverte a sparare a zero sull’N.P.U. non ha capito per niente questo champagne e… forse neanche lo champagne tutto. Certamente è uno champagne difficile, ma rappresenta la summa della filosofia del suo creatore. Poi, per carità, potrà anche non piacere e da parte mia trovo che Bruno Paillard sia più illuminato con i blanc de blancs (tutti eccellenti), ma qui entriamo nel personale.
Alberto, il commento mi suona poco dialogico. NPU 1996 non mi è piaciuto affatto e non lo ricomprerei, ci sta che io non capisca nulla di Champagne. Non è piaciuto neanche a Cristiana Lauro con cui l’ho bevuto e non ci sta che non capisca nulla di Champagne. Il problema è che non mi sarebbe piaciuto a prescindere, perché l’ho trovato cedevole, maturo e poco innervato. Ragionando di vini bevuti e non di assiomi o scenografiche presentazioni, s’intende.
A parità di bottiglia, sarebbe più interessante ragionare di stili e approcci piuttosto che di in/out. Perché chi non apprezza questo prodotto non capirebbe lo Champagne?
Alessandro, forse Alberto è stato un po’ brusco e sicuramente tranchant, ma capisco il suo punto di vista. Ti assicuro che in una cieca di champagne targati 1996 anche tu metteresti N.P.U. sul podio, magari dovresti provare insieme a Cristiana. Secondo me anche le aspettative fanno e credo che avvicinarsi ad una bottiglia con l’atteggiamento “vediamo un po’” possa svantaggiare anche il vino più buono del mondo. Tra l’altro Cristiana arrivava proprio dall’assaggio della settimana prima a Roma del 1999, altra vendemmia, altra esperienza, altra bevuta, questa si già più “avanti” a livello di percezioni, e magari poteva esserne in qualche modo influenzata. Concordo con te quindi sul fatto che “a parità di bottiglia” (immagino intendessi di annata per una Cucèe de prestige) potrebbe essere interessante ragionare di stili ed approcci, ovviamente senza pregiudizi dati dall’etichetta. Sono certa che anche tu ne rimarresti sorpreso. E poi potrebbe essere comunque un’occasione per brindare!
Chiara, ti assicuro che in una cieca comparata di 1996 NPU non finirebbe sul mio podio nemmeno se mancassero all’appello Clos du Mesnil, Salon, Krug, Clos des Goisses, Bollinger R.D., Dom Perignon, Clos Cazals, Selosse, Comtes de Champagne e Belle Epoque.
La faccio breve: (1) troppo legno sul cui riassorbimento ho forti dubbi (2) troppa concentrazione (3) a tratti surmaturazione. Le basse rese in Champagne sono un’arma a doppio taglio. Ma evidentemente non capisco un lazzo di Champagne.
E che caspita, m’avete fatto venire una curiosità su NPU!
Ho gettato un sasso nello stagno ma non pensavo di scatenare uno tsunami!
Alessandro, non ti piace l’N.P.U.? Ci marcherebbe! Il non piacere come concludevo nel commento incriminato è un’opinione rispettabilissima, tanto più che penso che N.P.U. sia uno champagne peculiare e a tratti estremo e che possa non piacere a tutti.
Mi riferivo invece a chi dice che l’N.P.U. vale poco. Ritengo infatti che sia l’estrema espressione della filosofia di un produttore, che ritengo giusto vada capita prima di dire che lo champagne sia di poco valore, piacere personale a parte.
Tra l’altro non mi ci ritrovo nelle tue osservazioni “di degustazione” e magari la bottiglia non era delle migliori, anche se dubito.
Fabio, la tua domanda è molto interessante e merita una risposta più articolata che spero di poterti dare a brevissimo.
Comunque non era mia intenzione essere così spigoloso, ne’ tantomeno aggressivo.
Faccio la premessa che lupetti mi considera un talebano di un altro modo di vedere lo champagne rispetto al suo. NPU non può che dividerci in modo netto. Non c’è nessuna annata di NPU che mi abbia convinto fino in fondo. Poco slancio con uno stile tendente a l’ossidativo, quindi complesso ma orizzontale, poco profondo. Il 90 è d’impatto ma tende a sedersi troppo per essere un 1990 di una cuvée di questo livello e manca di quello slancio sul finale che o grandi intepreti dell’annata ancora hanno, primo fra tutti dom perigno. nIl 96 non è riuscito a interpretare al meglio le asimmetrie dell’annata, freschezza e acidità che a volte si colorano di verde e note dolci che tendono, senza mai arrivarci, alla stanchezza, si sovrappongono senza integrarsi. La maturazione/evoluzione dell’aciditá sembra rimanere troppo indietro rispetto alla maturazione/evoluzione della materia. La mancanza di questa simmetria in produzioni meno pregiate sta già facendo pagare il dazio di tutta l’incoerenza che ci può essere in una “Freschissima decadenza”…………
Fabrizio. A me non piace Beaufort. Personalmente. Nel senso che a casa non aprirei mai una sua bottiglia. Son gusti, come abbiamo detto, ma rispetto Beaufort come produttore. Anzi trovo affascinante il suo modo estremo di interpretare lo champagne, che rappresenta una delle numerose sfaccettature di questo vino straordinario. Quindi dico che ad Alberto nonpiace, ma Lupetti lo inserisce con il giusto risalto nella guida “Grandi Champagne”.
Allo stesso modo, un’altra sfaccettatura del mondo champagne è l’NPU, di cui il 1995 abbiamo assaggiato nell’esperienza di guida che facemmo insieme e al quale demmo addirittura il “tappo”, ricordi? Poi, che il 1990 di questa serie non sia tra le migliori interpretazioni di questa grande annata sono d’accordo con te, mentre non mi ritrovo nel tuo giudizio – costruttivo – del 1996. È vero che le caratteristiche uniche dell’annata, in tre secoli di storia, hanno messo a dura prova i produttori e che chi non ha saputo interpretarla al meglio si trova oggi proprio con vini in declino, stanchi come dici tu. Però, non mi sembra il caso dell’NPU incriminato. O meglio: l’ho assaggiato tre volte, in due l’ho trovato davvero affascinante, complesso, intrigante, tremendamente sfaccettato se lo si lascia un minimo nel bicchiere… E una delle tre volte eravamo in 6 in occasione degli assaggi della guida: suggestione collettiva? Comunque, un’altra di queste tre volte il vino era davvero stanco, ma in maniera tale da far sospettare una bottiglia non in forma. Pertanto: e se anche la tua bottiglia fosse stata tale?
A ogni modo, l’NPU è certamente giocato sulla maturità spinta e, nel caso del 1996, questa contrapposta all’acidità travolgente dell’annata porta a forti contrasti, ma lo ritengo un contrasto affascinante. Anzi, una continua mancanza di equilibrio (nel senso di tensione, di dinamismo, come li intende Richard Geoffroy e non di vino sbagliato, non fraintendermi) che donano fascino al vino.
Fabio Cagnetti, last but not least. Attenzione, l’NPU 1996 è un grande champagne, di fascino, ma non finirebbe neanche sul mio di podio targato 1996. In proposito, a breve pubblicherò una degustazione comparata di “14 grandi 1996 secondo me” e di Bruno Paillard troverai non l’NPU ma il Blanc de blancs… Nel post incriminato ho detto che Paillard è un grande con lo
chardonnay in purezza e sull’NPU ho detto altre cose.
Ma vediamo se si riesce a riassaggiarlo insieme, questo benedetto NPU 1996, io, te e Fabrizio che siamo tutti a Roma (mi industrio per trovare una bottiglia) così da capire meglio i tuoi dubbi 1 e 2.
Anche se dovremmo concedergli almeno un altro paio d’anni all’NPU, visto che rispetto agli altri 1996 è uscito parecchio più tardi, no?
Sulle basse rese, invece, in Champagne si tende a perseguirle solo con il Pinot Noir da vinificare in rosso e non mi risulta che Paillard faccia così nelle vigne per l’NPU.
Alberto e Fabrizio: sempre disponibile per degustare e comparare, con due degustatori della vostra esperienza ogni bottiglia vale doppio.
Troppo buono, Fabio. Fabrizio auspicava prima delle feste ma sarà dura, ovvero impossibile, quindi teniamoci aggiornati per dopo.
Ciao
Caro Alberto,
che bella animosità che ho letto su NPU di Paillard….
Ne ho ancora 2 bottiblie 1996 assolutamente ben conservate, che faccio?
Opzione n° 1 – me le bevo entrambe e poi ti faccio sapere:
Opzione n° 2 – le metto a disposizione per redimerte la querelle:
Opzione n° 3 – le beviamo insieme alla tua prossima visita a Napoli e ce ne freghiamo degli altri.
Fammi sapere.
P.S. ne avevo altre 2 a cui ho già fatto la festa, una l’ho scartata in quanto il tappo aveva deciso di giocare negativamente, l’altra era assolutamente interessante, l’ho bevuto e ribevuto più volte in una degustazione durata circa un’ora.
E’ uno champagne decisamente complesso che merita un approccio forse più passionale che tecnico, non si svela subito ma ha bisogno di tempo e più assaggi.
Preferisco anch’io lo chardonnay nello stile Paillard, ma NPU 1996 (l’unica annata che ho bevuto) non mi ha deluso.