Roederer e le genesi del Collection
Gli appassionati come il sottoscritto (perché sempre tale sono, ben prima di essere un critico), ma anche molti amici (Daniele Agosti, Federico Angelini, Marcello Bergonzini, tanto per citare quelli che assaggiano più frequentemente con me…) rimpiangono tuttora il Brut Premier di Roederer, che è stato indiscutibilmente il miglior brut sans année – nell’accezione più classica del termine – di sempre. È pertanto normale che tutti noi suddetti non siamo ancora riusciti a capire – e apprezzare fino in fondo – il Collection che lo ha rimpiazzato. E proprio per approfondire questo tema e cercare di capire meglio, ho avuto la fortuna di passare del tempo da solo con Jean-Baptiste Lécaillon, che ha voluto spiegarmi in dettaglio la genesi del nuovo non-millesimato (o ‘multi-vintage’ che dir si voglia) della Maison di Reims. Quando il 3 maggio del 2021 Jean-Baptiste mi presentò in anteprima il Collection 242, rimasi talmente spiazzato da non riuscire a spiegarmi una tale rivoluzione. Lo chef de cave mi disse che era necessario un cambiamento, che era venuto il momento di far esprimere tanto il mosaico di territori, quanto l’annata, invece di replicare ogni anno uno schema stilistico consolidato. Tra l’altro non più al passo con i tempi. Era una questione di “libertà”. In questa seconda occasione, però, Jean-Baptiste Lécaillon è andato oltre e mi ha rivelato le basi su cui poggia questo desiderio di libertà.
Era il 2012, quando lo chef de cave si rese definitivamente conto che il clima in Champagne stava entrando in un nuovo ciclo e che continuare sul cammino tracciato nella seconda metà del XX secolo non era più possibile. Si doveva ragionare in termini di una diversa – e superiore – maturità, nonché di un’acidità più bassa, o meglio di pH più alti. E poiché lo champagne è tradizionalmente un vino di freschezza e di finezza, il rischio di uno stravolgimento era da non sottovalutare. “Ho dovuto pensare a come trovare una nuova forma di freschezza. – mi ha confidato Lécaillon – Un grande champagne deve avere un equilibrio ottimale tra estratto secco (materia, polifenoli, maggiore influenza del sole) e acidità. Credo che uno champagne equilibrato all’inizio del suo cammino debba apparire un po’ più fruttato, ma con il tempo si fa poi più minerale, perché l’estratto secco si ossida, quindi diminuisce, e l’acidità (intesa come pH, ossia la ‘sensazione di acidità’) prende per mano la gustativa e la lega sempre più alla mineralità. Le annate come la 2012 e la 2013, ad esempio, hanno naturalmente avuto un equilibrio ottimale in tal senso. Invece, nelle annate più fredde bisogna giocare maggiormente sul Pinot Noir – che ha più estratto secco – per cercare questo equilibrio, mentre nelle calde è necessario privilegiare lo Chardonnay, che esalta la sensazione di freschezza. Altrimenti si rischia di avere champagne arroccati sull’acidità, come sta accadendo a molti 1988 e come potrebbe accadere con il tempo con i 2008”.
Il problema di ripensare gli champagne del XXI secolo senza rinnegarli è anche legato al diverso ciclo di maturazione delle uve in Champagne, passato da 100 giorni a una media di 84-85 giorni per le uve nere e 92-95 per lo Chardonnay. È un argomento molto interessante, che però merita un approfondimento in altra sede: ne riparleremo.
Insomma, alla luce di quest’analisi, cosa ha fatto Lécaillon? Avendo una diversa maturità (parlare meramente di alcol non ha senso), si è trovato costretto a trovare un nuovo equilibrio, visto che l’estratto secco stava crescendo e il pH aumentando. Ed è proprio da questa analisi che nasce il progetto Collection, su diverse linee guida: la selezione parcellare, la réserve perpétuelle (iniziata proprio nel 2012), la malolattica svolta in misura sempre inferiore (è passata dal 60% del primo al 25% dell’attuale per trovare un equilibrio più fresco), maggiore quota di legno (da niente del primo al 20% dell’attuale). “Il Brut Premier era legato all’acidità, nel Collection ho invece dovuto trovare diverse fonti di freschezza. Quelle che ti ho detto, ma anche nuove componenti fenoliche: ho aggiunto il 5% di taille di Pinot Noir, la cui componente aromatica regala una diversa dimensione alla chiusura della gustativa, con maggiore lunghezza e la nota amaricante matura, non verde. Attenzione, non sto parlando di mera seconda spremitura, ma di una selezione di questa, lavorata in maniera particolare. E ho anche a mano a mano aumentato la pressione, passando progressivamente dalle 5 atmosfere del primo Collection, il 238, alle quasi 6 del 244. Una bollicina più presente migliora la sensazione di freschezza, nel senso che la carbonica riduce la sensazione materica. Ho altresì ridotto il dosaggio, passando da 9 a 7 g/l.
Insomma, Collection è una costruzione, non soltanto un’evoluzione del Brut Premier. Quest’ultimo si basava sull’acidità e vecchi vini di riserva, il Collection è tutta un’altra cosa. È uno champagne nato per rispondere alla necessità di un nuovo equilibrio. E possiamo individuare due tappe rivoluzionarie nello sviluppo del Collection: la prima tra il 238 e il 241, quando si è passati da uno champagne basato sull’acidità a uno legato invece alla freschezza finale e alla lunghezza del gusto. Avevo raggiunto l’obiettivo, avevo trovato questa ‘nuova freschezza’. A quel punto, però, dovevo riequilibrare il tutto e ritrovare eleganza e finezza e questo è avvenuto tra il 242 e il 244, grazie alla réserve perpétuelle finalmente a punto e a una riduzione del Pinot Noir a favore dello Chardonnay. Non uno Chardonnay qualsiasi, ma quello della Montagne, di Verzy, Villers-Marmery e Nogent-l’Abesse, con il loro carattere fumé e la loro complessità. Avevo capito che il Pinot Noir non poteva giocare questo nuovo ruolo, ma doveva farlo lo Chardonnay, anche perché è la varietà che reagisce meglio al nuovo clima. Credo che lo Chardonnay sia la risposta alla Champagne di domani”.
Collection – essai 238
36% Pinot Noir, 35% Chardonnay, 29% Meunier
Base 2013, 60% malolattica, 8% legno, dosaggio 9 g/l
Mi è piaciuto tanto, forse perché mi ricorda tanto il Brut Premier con la sua bella acidità che lo sostiene. E pure l’annata, con la sua finezza, gioca il suo ruolo. Grande piacevolezza e gustosa sapidità.
Voto: 91/100
Collection – essai 239
43% Pinot Noir, 34% Chardonnay, 23% Meunier
Base 2014, 49% malolattica, 8% legno, dosaggio 8 g/l
Champagne di una ricchezza, quasi una vinosità che lo rendono fin troppo particolare nella sua rotondità matura. Curioso anche che non si ritrovi l’influenza fredda dell’annata. Secondo Jean-Baptiste le due anime dell’annata (quella fredda e quella estiva più calda) si combattono…
Voto: 88/100
Collection – essai 240
44% Pinot Noir, 38% Chardonnay, 18% Meunier
Base 2015, 36% malolattica, 21% legno, dosaggio 8 g/l
Una sorpresa, per la trama gustativa nella quale il Pinot Noir gioca il suo ruolo. Nient’affatto solare, ma molto minerale. Anzi, è addirittura scheletrico in questa mineralità di craie.
Voto: 89/100
Collection essai 241
42% Pinot Noir, 40% Chardonnay, 18% Meunier
Base 2016, 30% malolattica, 17% legno, dosaggio 8 g/l
Olfatto curioso, con un carattere fumé. Dà la netta sensazione di essere un vino di transizione, come poi è effettivamente stato. Jean-Baptiste mi ha detto che fu lo champagne con il quale si rese conto che stava sbagliando a insistere sul Pinot Noir. Allora gli ho chiesto perché mai lo abbia fatto uscire in magnum accanto al 242 in bottiglia… “Perché in magnum aveva un bel carattere e secondo me poteva essere divertente per far scoprire questi nuovo Collection”.
Voto: 88/100
I Collection 242 (base 2017, 34% malolattica, 12% legno, 8 g/l) e Collection 243 (base 2018, 26% malolattica, 16% legno, 8 g/l) già li conoscete, mentre per il Collection 244 (base 2019, 25% malolattica, 15% legno, 7 g/l), sebbene sia già sul mercato, rimando alla prossima edizione della guida Grandi Champagne per la degustazione dettagliata.
Gli champagne Louis Roederer sono distribuiti da:
Sagna – tel. 011/8131632 – www.sagna.it
Buongiorno. Sono parzialmente “off-topic” ma avrei una domanda che riguarda Roederer: in cosa consiste praticamente la tecnica di ‘infusione a freddo’? Grazie mille.
È la loro tecnica di macerazione a freddo del Pinot Noir…
Articolo davvero molto interessante, mi soffermo in special modo sull’approfonfimento tecnico della prima parte. Davvero a questo punto mi aspetto un approfondimento da parte tua, perchè l’argomento della maturazione delle uve unito all’equilibrio tra Ph e quello che Lecallion chiama “estratto secco” propone spunti di riflessione davvero interessanti..
P.S. in tema Roederer, hai avuto modo di assaggiare i “late release” dei vintage?
Grazie. Sì, Lécaillon mi offre sempre spunti molto interessanti sui quali riflettere.
Quindi ne riparleremo, certo.
Per non essere troppo monotematico, magari sui ‘Late Release’ faccio un post su Instagram
Buongiorno, mi scuso se la domanda è banale ma se riuscissi a trovare una rimanenza di Brut Premier in qualche enoteca, ad oggi sarebbe ancora buono da bere?
Ancora buono? Straordinario, direi… Magari a trovarne!
Trovato! Grazie mille per la dritta, non vedo l’ora di berlo 🙂
Santé!
a questo punto, ma forse è troppo presto per dirlo, sarebbe interessante capire se la scommessa “collection” è stata premiata o meno dal mercato rispetto al rimpiato Brut Premiere… perchè anche lato “price positioning” è stata fatta una scelta diversa (rincaro non banale) e sarei curioso di sapere se, a livello di vendite totali, sono aumentati i volumi pre e post brut premiere.
Anche se, nel caso dovessero aver “perso”, temo non ce lo diranno mai
Al momento temo di no. E siamo in tanti a rimpiangere il Brut Premier. Il Collection è un ottimo champagne, ma è un’altra cosa. Il tempo ci dirà se la scelta di Lécaillon è stata vincente, perché dopo solo tre assemblaggi un giudizio sereno non è possibile.
Capitolo prezzi: tutti gli champagne sono aumentati. E non di poco. E questo rincaro ora gli champenois lo stanno pagando, visto che l’anno dovrebbe chiudersi con ‘soli’ 300 milioni di bottiglie…
io di brut premier ne ho ancora trovati tre (fra l’altro a un prezzo decisamente inferiore ai nuovi usciti…), domandavo quanti anni indicativamente possono riposare in cantina senza perdere la loro qualità ?
e in generale i brut base col tempo tendono ad esser meno rotondi al gusto ?
Diversi brut sans année invecchiano bene, ma non tutti vanno oltre i 10 anni. Il Brut Premier è certamente uno di questi, ma quanto farli invecchiare dipende poi dai propri gusti. A mio avviso, 5-6 anni sono l’optimum, oltre si può fare, ma diventa spesso più esperienza che bevuta di piacere. Il tempo, li rende più rotondi, non meno, con note di torrefazione e sottobosco.
Buongiorno Alberto, nell’articolo segnala che la recensione dettagliata del 244 viene rimandata alla prossima edizione della guida Grandi Champagne. Mi è arrivata ieri e noto che manca (complimenti comunque per la guida, un filo “ostica” ma indubbiamente innovativa ed interessante). Può dirci qualcosa sul vino in questione? Grazie.
Vero, ma poiché la nuova edizione prevede massimo tre champagne per produttore, abbiamo poi fatto altre scelte per quanto riguarda Roederer. Visto che sta ‘ripartendo’ il sito, cercherò di parlarne qui presto.