Dom Pérignon Œnothèque Rosé: a tu per tu con il “secondo”
Nel 2000, Richard Geoffroy, oramai chef de cave di Dom Pérignon da quattro anni, lanciò il “Programma Œnothèque”, la massima espressione di questo grande champagne nonché la più affascinante dimostrazione delle sue eccezionali capacità di maturazione.
Ma, stupendo un po’ tutti, esattamente dieci anni più tardi il geniale Richard concede il bis estendendo il programma anche al Rosé. D’altronde, a pensarci bene, anche il Dom Pérignon in rosa sa magnificarsi con il passare del tempo (ho ricordi incantevoli di un 1982…), quindi la declinazione come Œnothèque (che, è bene puntualizzare, non è un mero dégorgement tardif, ma lo champagne nella sua seconda plénitude, ovvero il raggiungimento di una nuova fase di eccellenza dopo essere rimasto sui lieviti) dovrebbe essere ancora più coinvolgente. E lo è: ritengo il Dom Pérignon Œnothèque Rosé 1990 (il primo della serie lanciato a febbraio 2010, con dégorgement 2007) uno dei tre migliori rosé di sempre, insieme al Cristal Rosé 1976 e al Veuve Clicquot Vintage Rosé 1955.
Poi, però, sul finire dello scorso anno, ecco arrivare in sordina il Dom Pérignon Œnothèque Rosé 1992, secondo della serie. In sordina perché stavolta le bottiglie sono state ancora meno (parliamo di alcune decine per l’Italia) e l’annata non è certo da ricordare, ma in casa Dom Pérignon e Moët & Chandon è stata, invece, non solo millesimata, ma ha anche dato vita all’Œnothèque nella prima e al Grand Vintage Collection nella seconda. E, a suo tempo, pure al Dom Pérignon Rosé, che oggi Richard ripropone in questa straordinaria declinazione, frutto del 54% di Pinot Noir (di cui circa il 20% in rosso) e 46% di Chardonnay.
Dei Dom Pérignon Œnothèque in rosa Geoffroy parla di “un paradosso al punto di contraddizione… un’espressione gloriosa e intrigante del Pinot Noir oltre l’assemblaggio perfetto… vellutato come un assolo della chitarra di Carlos Santana… voluttuosamente espressivo nella sua stratificazione di spezie e frutti esotici”. Richard è sempre Richard!
Ebbene, ho avuto l’onore – e per certi versi pure l’onere – di assaggiarlo questo Dom Pérignon Œnothèque Rosé 1992, ancora una volta insieme a Federico Angelini. Degorgiato nel 2007 e dosato a 6,5 g/l, si propone attraverso un bel bicchiere ramato che esprime a un classicissimo – e bellissimo – rosé tipico nello stile dei Dom Pérignon di razza. È carnoso, elegante, leggermente acidulo da Pinot Noir, anche vegetale, ma certamente vinoso. L’attacco in bocca è stupefacente per la ricchezza, la sapidità, la sempre carnosa fruttosità e la ricca sapidità. Ma, quando ti aspetti una progressione travolgente, ecco invece il centro bocca che tende a interrompersi, a smarrirsi. Però è solo un attimo perché, come un uomo perso nel deserto, appare improvvisamente all’orizzonte un miraggio: ritorna il vino Pinot Noir, ora stratificato, con splendidi tannini e gustosissimi spunti di thè nero e arancia amara. Con eleganza riveste letteralmente la bocca e lo fa con una tenacia incredibile sui toni delle erbe aromatiche. Grande champagne che, pur rimanendo nel solco della difficile annata, riesce a farla dimenticare.
Voto: 96/100
PS: non abbiate fretta di berlo appena versato e non mortificatelo con una temperatura di servizio troppo bassa. È un gran vino e come tale pretende tutte le attenzioni del caso.
Considerazioni personali: il 1990 della medesima serie è diverse lunghezze più avanti e si colloca, come detto, nell’Olimpo (i migliori rosé di sempre, almeno per me e il buon Federico Angelini). Ma la 1992 è stata un’annata minore, per questo colpisce la bravura di Dom Pérignon di aver saputo fare non solo ottimi Vintage e Rosé, ma anche le corrispondenti declinazioni Œnothèque. Che hanno fascino da vendere. Certo, il ridotto numero di bottiglie e il costo elevato rende il bis quasi impossibile, ma riprovare questo rosé tra 3-5 anni potrebbe essere un’esperienza indimenticabile…
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